RENATA GOMES NATA A MANAUS (AMAZONIA) BRASIL
   
  MANAUS LA MIA CITTA
  VIVA BRASIL
 

  VIVA IL BRASIL FUORI MODA  

Il verdeoro è in declino? Può darsi, ma ora che la grande abbuffata di lustrini e volgarità si è conclusa il pubblico generalista potrà finalmente farsi un'idea più autentica del paese sudamericano.

Per il momento è una sensazione quasi impercettibile, poco più di un dubbio che si insinua. Il Brasile, da qualche stagione "di moda" in Italia, sembrerebbe aver perso l'irresistibile fascino grazie al quale si è ritagliato un piccolo spazio all'interno della vita sociale del nostro Paese. I suoi colori sono meno visibili addosso a giovani e meno giovani. La sua musica pare meno programmata dalle radio, che anzi tendono a mortificare le trasmissioni dedicate alla mpb. I suoi autori sembrano meno letti, la sua cucina meno trendy, i suoi ritrovi meno frequentati. Il grande clamore levatosi potrebbe essere prossimo a placarsi.

 

Bene inteso, non intendiamo affermare che il Brasile perderà i suoi estimatori o che verrà cancellato dai sogni e dalle fantasie degli italiani. Parliamo di mode, cioè di momenti eclatanti, di fenomeni di massa che si sviluppano rapidamente e che fisiologicamente durano poco. Ci riferiamo soprattutto all'interesse effimero del pubblico generalista, per natura distratto e poco portato ad approfondire.

Se finirà il trend, non finirà il Brasile. È passata di moda la Cuba dei viaggi tutto compreso a Cayo Largo, senza che dall'immaginario collettivo siano spariti sigari, rhum e Buena Vista social club. E, soprattutto, senza che si sia affievolito il desiderio di conoscenza da parte degli appassionati veri, alcuni dei quali inizialmente richiamati dalla grancassa mediatica. Attratti da un mojito, hanno letto Martí, ascoltato il son e scoperto il Che, rimanendo stregati per sempre. Le mode costituiscono, in questo senso, delle formidabili opportunità. Abbassatosi il polverone del glamour, anche il Brasile farà la conta delle occasioni sfruttate e delle chance perdute. A questo proposito, è già possibile tracciare un bilancio. Per la verità, molto poco lusinghiero.

Innanzitutto, è mancata attenzione a livello governativo. A parte gli sforzi di amministrazioni illuminate, come quella romana guidata da Walter Veltroni, un Anno del Brasile in Italia non si è fatto. Né con questa denominazione ufficiale, come avvenuto in Francia nel 2005, né in maniera ufficiosa ma tangibile, come accaduto dodici mesi fa in Germania. Per non parlare di Spagna e Portogallo, dove l'estate si tinge regolarmente di verdeoro o dell'Inghilterra, dove la diffusione di eventi artistici aventi per tema il Brasile è capillare.

Spesso, i mezzi d'informazione italiani hanno avuto, in questi anni, un approccio "folcloristico" e superficiale all'universo del quale Musibrasil, da tempi non sospetti, cerca invece di proporre un'immagine fedele. Per alcuni, il Brasile resterà eternamente il Paese del Cacao Meravigliao. Nulla contro l'ironia, se politicamente corretta. Ma il pubblico interpreta le raffigurazioni parodistiche per quello che sono, cioè forzature e distorsioni, solo se le stesse sono riferite a situazioni note e percepite nella loro realtà. Difficile compia il percorso inverso, cioè conceda credibilità a qualcosa di sconosciuto, in questo caso a un intero Paese da sempre descritto utilizzando cliché o presentato sotto forma di macchietta, senza illustrarne la vera natura.

L'irritante, canzonatorio uso della desinenza "ao", accompagnato da maccheroniche traduzioni dal portoghese, oggi come venti anni fa è diffusamente presente sia nei programmi televisivi che nelle pubblicità di casa nostra, ultima in ordine di tempo quella del formaggio "padao" da mangiare "gratujao". Pare sia impossibile reclamizzare un caffè brasiliano senza mostrare rigogliose piantagioni dove robusti braccianti, immancabilmente di colore, si tergono il sudore dalla fronte con un sorriso di soddisfazione, felici di spaccarsi la schiena per fornire la materia prima all'italico espresso. Che viene solitamente servito da ballerine, rigorosamente mulatte, in abiti succinti e con in testa pennacchi carnevaleschi.

Non è cambiato nulla neppure riguardo al modo di proporre l'immagine femminile, che continua ad essere presentata come "libera" e "solare". Tradotto: facile e disponibile. Per un certo maschio italiano, quello che quando sente parlare di Brasile ammicca e dà di gomito all'amico, la figura della donna brasiliana coincide con quella della prostituta. Tranne rare eccezioni, musicalmente si è puntato sulla promozione di generi leggeri e banali, principalmente axé, pagode e, recentemente, funk carioca, colonna sonora delle serate di molti locali brasiliani delle nostre città. Ultima moda in ordine di tempo, figlio della rabbia della favela, il funk ha un senso solo in quel contesto. Da noi risulta incomprensibile o, meglio, ne vengono percepite solo le grossolane allusioni sessuali, a volte gridate dalle stesse funkeiras. Le quali, autodefinendosi putonas e cachorras, il più delle volte intendono lanciare provocazioni. Si tratta di una sorta di "femminismo al contrario" che, se non capito, finisce per legittimare quell'immagine di donna sopra descritta.

Le infradito brasiliane Havaianas

Le infradito brasiliane Havaianas

 

Vogliamo parlare di libri? Non ostante alcune lodevoli iniziative editoriali e il prezioso lavoro di divulgatori come Patrizia di Malta, malgrado la pubblicazione di ottime traduzioni, come quella fatta da Monica Paes della "Verità tropicale" di Caetano Veloso, in Italia siamo ancora fermi ad Amado. Non si conoscono né i classici di Machado de Assis o Guimarães Rosa, né i best-seller di scrittori contemporanei estremamente fruibili come Verissimo. Se pochi attribuiscono un'identità brasiliana a Paulo Coelho, la colpa è anche sua. I suoi scritti, che in un certo senso hanno creato il filone letterario "new age", sono lontani dalle tematiche graffianti degli inizi come parceiro di Raul Seixas nella "Sociedade Alternativa". Oggi è uno scrittore globale e universale, nell'accezione piú light e anonima del termine, totalmente privo di identità nazionale. Non c'è Brasile nei suoi libri, lui stesso rifiuta il ruolo di trascinatore del movimento. «Mi occupo di sogni», ha dichiarato. Ma non di sogni brasiliani. Voltando pagina, la recente pubblicazione in Italia delle memorie dell'ex garota de programa Bruna Surfistinha, libro di gossip privo di qualunque tentativo di analisi sociale, accenderà forse fantasie di altro tipo, descrivendo il lato "romantico" della professione più vecchia del mondo. E qualcuno si convincerà, una volta di più, che le brasiliane son tutte puttane.

Costume del carnevale

Costume del carnevale

Della persistente ignoranza sul Brasile, condizione comune a larghi strati della popolazione italiana, sono responsabili, secondo il nostro parere, pure certi esponenti del mondo italo-brasiliano, operanti nel nostro Paese. Se questo mundinho rimarrà tale, se il gigante-Brasile in Italia continuerà ad apparire un nano, la colpa sarà stata anche loro. Ci riferiamo, in primo luogo, ad alcune ricche e miopi istituzioni e aziende brasiliane presenti sul territorio italiano, preoccupate di salvaguardare il proprio giardinetto di interessi senza stringere alleanze o seminare su larga scala, a beneficio anche di altri. Allo scopo di proteggere privilegi acquisiti, preferiscono dedicarsi al volantinaggio in occasione di eventi locali che appoggiare con il loro patrocinio iniziative su scala nazionale. Secondo loro, è meglio avere molto di poco, che poco di molto.

Una situazione anacronistica è quella della rete televisiva brasiliana di riferimento, tra le emittenti più potenti del pianeta, la cui visione è riservata, in Italia, a poche centinaia di eletti. È incredibile che il Brasile non abbia un segnale disponibile in chiaro sulle nostre piattaforme satellitari. Tra la pletora di offerte gratuite, sia audio che video, provenienti dai Paesi di lingua spagnola, da quelli del Medio ed Estremo Oriente, dal Nordafrica, dall'India e dall'Europa dell'est, in Italia non sono presenti canali brasiliani. Si vendono novela e programmi registrati ai più abbienti e nostalgici tra gli emigrati e non si diffonde su larga scala la cultura di un Paese. Operazione che potrebbe essere realizzata attraverso la creazione di un palinsesto dedicato, comprendente un'ampia selezione musicale, documentari storici o paesaggistici, notiziari e alcune fiction selezionate. E magari qualche programma sottotitolato.

La cucina brasiliana, così ricca e varia, da noi è generalmente ridotta al rodízio, servito da churrascarias legittime e ciurrascherie inventate. Al giro-carni a volontà, servito su spiedoni, si sono convertiti, per convenienza ed economicità, anche molti ristoranti brasiliani che inizialmente proponevano menù completi. Ultimamente, la tendenza è quella dei buffet a prezzo fisso, dove accanto a riso, fagioli e cosce di pollo appaiono misteriose insalate russe annegate nella maionese, vitello tonnato e lasagne, in un disorientante connubio italo-brasileiro, perfetto per confondere le idee. E smaltire gli avanzi del giorno prima. La caipirina, caipiriña o caipirigna (abbiamo visto di tutto), fatta con lo zucchero di canna marrone, non raffinato, grida anch'essa vendetta, soprattutto al prezzo di 7 euro. Persino la birra più famosa del Brasile, da noi, si è rifatta il trucco. Oggi arriva sulle nostre tavole in una sinuosa bottiglia trasparente, con un gusto adattato al palato tricolore. Risultato: i brasiliani e i tanti italiani che l'hanno scoperta in Brasile non la considerano più "loro" e la clientela "normale" la vede come una delle tante birre disponibili sul mercato, solo più cara.

La difficoltà di mantenere l'autenticità di oggetti, prodotti e simboli brasiliani in Italia ha costituito, in questi anni, un punto dolente. Il problema spesso è stato risolto in maniera utilitaristica e speculativa da parte di imprenditori, pubblicitari e commercianti. Una cosa è concettualizzare il Brasile, cioè renderlo accessibile, comprensibile e commestibile, riferirlo alla realtà italiana, trasformarlo da astruso in concreto. Altra è sofisticarlo, cambiarlo, trasformarlo, proporlo consapevolmente in maniera falsa. Una cosa è spiegare, altra è mentire. Era ed è difficile, indubbiamente, presentare l'eterogenea realtà di un Paese grande quanto un continente. C'è stato pure chi, in buona fede, nel tentativo di trovare un filo conduttore e uscire da vecchi luoghi comuni ne ha creati di nuovi e, insieme, ha tradito quelle attese di "brasilianità" contenute, ancora una volta, nei sogni e nelle fantasie citati all'inizio. Figurarsi chi opera e continua ad agire con meri fini commerciali.

Maglietta della Seleção

Maglietta della Seleção

 

Prendiamo le famose infradito, le cui imitazioni, fabbricate da decine di aziende nostrane, sono ormai disponibili persino nei supermercati. In Brasile, dove fino a pochi anni fa costavano al massimo l'equivalente di un paio di euro, erano e rimangono una calzatura da lavoro o da mare, comoda, pratica e del tutto casual. In Italia, viceversa, sono state presentate come accessorio di culto, addirittura da utilizzare sotto capi firmati, in serate etno-chic con selezione all'ingresso. Un paio di estati fa le abbiamo viste esposte sulle bancarelle al prezzo di 27 euro, forse in omaggio al principio che tutto quanto è esotico deve essere anche caro, se no non si vende. Per un circolo vizioso, riconducibile al lato oscuro della globalizzazione, ora in Brasile il prezzo delle ciabatte è perlomeno quintuplicato.

A livello generale, vi sono state, a onor del vero, congiunture sfavorevoli al persistere della moda-Brasile. La disfatta calcistica della Seleção dei Fenomeni al mondiale tedesco, per molti italiani ha nuociuto all'immagine del Paese cento volte più dello scandalo del mensalão. Tornando al mondo delle sette note, è mancato il brano che, abbinando appeal pop e spessore musicale, potesse riscuotere lo stesso plebiscitario consenso di "Já sei namorar". A emulare i Tribalistas ci hanno provato prima i Kaleidoscopio, con un paio di tracce elettroniche presto dimenticate, poi Luka con la filastrocca dance "Tô nem aí". È fallito anche il tentativo di Ana Flora con "Paraíso do mundo", fermatosi a distanza siderale. Stesso esito per la pur suadente "Não tenho pressa" di Sandy Müller e per il remix-house di "Ai, ai, ai.." della brava Vanessa da Mata. Tutti brani di successo, alcuni dei quali prodotti in Italia, ma non entrati nella pelle degli italiani quanto la hit di Arnaldo, Carlinhos e Marisa. Che hanno pure deluso tutti, sciogliendo il sodalizio. Il Brasile, non necessariamente per sua colpa, spesso ha dovuto annaspare nel grande mare latinoamericano, finendo per essere confuso all'interno dell'ondata filo-ispanica. Negli ultimi tempi, poi, è montato una sorta di tsunami etnico che ha davvero travolto tutto, causando una banalizzazione generale. In Italia si fuma il narghilé libanese al suono di cori cambogiani, si serve sushi giapponese sotto tende beduine, si ascolta bhangra indiana nel corso di finti luau tropicali. Senza capirci, ovviamente, nulla.

Tutto sommato, alla luce di quanto illustrato, se la moda-Brasile dovesse davvero volgere al termine, poco male. Anzi, la sua fine sarebbe addirittura auspicabile, se comportasse anche l'esaurirsi dell'enorme corollario di idiozie, banalità e inesattezze che sul Brasile sono state dette e dell'altrettanto copioso numero di errori commessi nella sua cosiddetta "promozione culturale". Quando questo succederà, si spera sopravviveranno realtà e fenomeni più tangibili, anche se meno evidenti. Ad esempio l'aumento degli scambi commerciali tra Italia e Brasile o l'accresciuta interazione, non solo tra le due economie, ma anche tra i due governi. Oppure l'incremento del flusso turistico, che ha portato l'Italia ad essere il sesto "cliente" mondiale del Brasile.

Se ci saranno meno magliette e infradito verdeoro, rimarranno i numeri dell'export tessile brasiliano verso il nostro Paese. Fatto di capi e oggetti meno colorati e pacchiani delle finte t-shirt "Du Brazzil", ma più belli e duraturi. Non si affievolirà l'attenzione verso l'impegno sociale che, pur senza voler cadere nella retorica, nell'era-Lula ha portato molti italiani a guardare oltre oceano con più simpatia e ad impegnarsi in iniziative solidali. Rimarrà la serietà di aziende ed enti interessati a realizzare progetti di ampio respiro sull'asse Italia-Brasile e alla ricerca di interlocutori e portavoce credibili. Aumenterà, soprattutto, l'entusiasmo di chi del Brasile si è innamorato definitivamente, senza fermarsi in superficie ma scendendo in profondità. Magari leggendo, con fatica, un libro in portoghese. Oppure ascoltando un vecchio disco di Cartola e non il tormentone del momento. O sostenendo un bimbo a distanza. Tutti, se lo vorranno, continueranno a trovare un punto di riferimento in "Musibrasil" e nel suo modo di raccontare il Brasile. Non fuori moda, ma fuori dalle mode. 


 
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